
Cédric Bouchard: Il Silenzio della Purezza
C’è un attimo, in ogni grande degustazione, in cui il rumore di fondo si spegne. È il momento in cui il vino prende il centro della scena, imponendo il suo ritmo e dettando le regole. Con Cédric Bouchard, questo momento arriva quasi subito. Non ci sono effetti speciali, non ci sono bolle scoppiettanti o dosaggi calibrati per sedurre. C’è solo il vino, essenziale, radicale, scolpito nel tempo e nello spazio.
La nostra Monografia Cédric Bouchard a Milano, nella raccolta Trattoria Lazzati, è stata esattamente questo: un viaggio dentro un pensiero più che dentro un semplice stile. E, come ogni viaggio che si rispetti, ha richiesto attenzione, pazienza e un certo spirito di adattamento. Perché lo Champagne di Bouchard non è immediato, non concede scorciatoie. È un’architettura di precisione assoluta, dove ogni elemento è ridotto al minimo indispensabile.
La Verticale di Val de Vilaine: Millimetrica Purezza
La serata è iniziata con una mini verticale di Val de Vilaine, Pinot Noir in purezza proveniente dal villaggio di Polisy. È il suo vino più “semplice”, quello che viene rilasciato per primo. Eppure, di semplice, qui non c’è nulla.
Quattro annate nel calice:
- VV/R21 – Un fulmine. Freschezza agrumata, energia pura. Il sale si fa spazio tra il frutto croccante, quasi mordente.
- VV/R20 – Leggermente più ampia, con un tocco di polpa in più. Ma la struttura è sempre lì, verticale, scolpita.
- VV/R17 – Il tempo comincia a levigare il vino. Note di erbe secche, un accenno di spezia, una tensione più controllata.
- VV/R15 – La fine del viaggio. L’evoluzione porta complessità, ma senza perdere la nervatura principale. L’impressione è quella di un bisturi, non di un vino invecchiato.
Quello che colpisce, nel confronto, è la coerenza assoluta dello stile. Ogni annata si muove con la stessa precisione, senza cedimenti. Ogni sorso è un esercizio di levare, non di aggiungere.
Les Ursules e Presle: La Stratificazione del Pinot Noir
Poi è arrivato Les Ursules, il vino simbolo del domaine. Un Pinot Noir che, bicchiere dopo bicchiere, si è rivelato come il più completo della serata. È la parcella che ha dato inizio a tutto, quella che il padre di Bouchard gli ha concesso “perché era la peggiore”. Oggi, ironicamente, è probabilmente la migliore.
Presle, invece, è un esercizio di diversità genetica. Dieci portainnesti diversi per massimizzare la varietà e creare un vino che sembra troppo per la Champagne. Materico, quasi esuberante, ma sempre trattenuto da una mineralità che non lo fa esplodere.
Sono due volti dello stesso Pinot Noir, due interpretazioni che mettono in discussione qualsiasi certezza sulla tipologia.
La Bolorée: Il Pinot Blanc che Non Dovrebbe Esistere
E poi c’è La Bolorée, forse lo Champagne più assurdo e affascinante della serata. Un Pinot Blanc in purezza, da viti piantate nel 1960. Un vino che la Champagne quasi rinnega, ma che nel bicchiere è pura scultura.
Foglia di tè, erbe alpine, una sapidità che vibra sulla lingua. Non è Champagne come lo conosciamo, ma è qualcosa di più. È una lama affilata, che non si lascia addomesticare.
Creux d’Enfer: Il Rosé che Cambia le Regole
Quando si parla di rosé in Champagne, ci si aspetta spesso vini facili, golosi, magari con un po’ di zucchero per arrotondare il tutto. Creux d’Enfer è l’antitesi di tutto questo.
Tre filari di viti. Macerazione sulle bucce. Pigiatura con i piedi.
Il risultato? Un vino che non sembra nemmeno Champagne.
Il colore è quasi trasparente, ma la complessità è stratificata come una sinfonia. C’è una delicatezza inafferrabile, una raffinatezza che non ha bisogno di volume per farsi sentire. Peter Liem lo considera uno dei migliori rosé macerati del mondo. Dopo questa degustazione, è difficile dargli torto.
RDJ n°01 e RDJ n°02: L’Enigma Liquido
E infine, l’ignoto. Due bottiglie senza indicazione di vitigno, di parcella, di niente. Solo due sigle: RDJ n°01 e RDJ n°02.
Bouchard non vuole che si sappia cosa contengono. Dice che non importa. Che sono esperimenti, che sono Champagne e basta.
Nel primo, emerge una purezza cristallina, quasi un riflesso dello Chardonnay. Note citriche, accenni di erbe aromatiche, una scia lunghissima di sale e pietra.
Nel secondo, il vino si fa più ampio, più strutturato. La materia è più densa, la tensione più trattenuta.
Non sappiamo cosa siano. Ma sappiamo che sono esattamente quello che devono essere.
Il Futuro: Bouchard e la Borgogna
E poi c’è il futuro. Perché Cédric Bouchard non si ferma qui. Sta già lavorando sui suoi vigneti in Borgogna, producendo Pinot Noir fermi. Sta già guardando oltre la Champagne, come se il cerchio dovesse chiudersi proprio lì, dove tutto è iniziato.
Lo Champagne, per lui, è solo un mezzo. Il fine è la purezza assoluta. La voce limpida del terroir, senza sovrastrutture, senza compromessi.
Quello che ci ha lasciato questa serata è una certezza: non si tratta solo di Champagne. Si tratta di un linguaggio. Di un modo di vedere il vino. Di un’idea che, una volta capita, è impossibile da dimenticare.
Post Scriptum:
Se siete abituati a Champagne voluminosi, ricchi, dal perlage esplosivo, preparatevi a rivedere tutto. Quelli di Bouchard sono Champagne che non cercano di piacere. Sono vini cerebrali, millimetrici, profondi.
Non sono per tutti. Ma per chi sa ascoltarli, diventano una voce impossibile da ignorare.